VIALE GIOVANNI LUDER (Corriere Fiorentino di domenica 14 settembre 2008)
E’ domenica mattina. Accompagno la mia ragazza a Peretola. E’ l’alba, la strada è sgombra, così arriviamo all’aeroporto in un attimo, e con largo anticipo; sono ventidue euro, spiega il tassista.
Lì per lì non viene da discuterne, ci sono da celebrare gli addii e poi, undici a testa, insomma, ci si fa meno caso.
Un’ora più tardi, affrontati il check-in e il gate, mi ritrovo da solo, all’ombra della tettoia esterna dell’aeroporto civile “Amerigo Vespucci” (nome non casuale, ché proprio a Peretola nacque il Vespucci). Un tassista mi guarda con aria interrogativa. “No, ventidue euro non te li do,” dico tra me, “che tanto Firenze è piccola e far due passi mi farà solo bene.”
Mi avvio a piedi, sottovalutando i sette chilometri che dividono l’aeroporto dal centro di Firenze, lungo il viale intitolato a Giovanni Luder, il primo fiorentino, anzi, il primo nel Granducato, a volare nei cieli della città.
“Due secoli fa il panorama da queste parti era senz’altro più
ameno,” mi dico, immaginando campi o forse addirittura boschi al posto dell’aeroporto, dei suoi cartelloni pubblicitari vuoti (nessuno vuole mettere le sue pubblicità qua?), delle grosse “C” di cemento che a loro volta sorreggono pannelli pubblicitari, rotanti e anch’essi vuoti.
La scritta bianco sporco “Aeroporto” si mischia al cielo che da quelle parti è sempre grigio. Mi volto e riprendo a camminare. Intorno, prefabbricati grigi, bigi, giallini, mesti, sciapi, lasciano all’uccello grasso di Botero il compito improbo di ravvivare l’intera zona.
In un’aiuola, un cespuglio di rose bianche (chi le ha piantate?) danno l’idea di un cespo di cicuta; poco più in là un cerchione si annerisce nell’erba, mentre sul muro del sottopasso fanno capolino gli arancioni e i gialli fluorescenti dei manifesti dei circhi, lasciati lì a sbiadire, a brandelli.
Non è fatta per i pedoni, via Giovanni Luder.
Non c’è nessuno all’orizzonte, in nessuna direzione; anzi, gli automobilisti che passano mi guardano straniti, si voltano proprio a osservarmi, mi seguono per quanto lo consente loro la traiettoria, qualcuno addirittura pare volersi soffermare, come a chiedermi dove ho lasciato la macchina in panne, o cosa stia mai cercando, là.
Mi passa un aereo sul capo. Vicino, vicinissimo: grasso, di metallo, pare imparentato con la statua vista poco prima; solo, ad ali spiegate. Non faccio neanche troppo caso al boato, che già il traffico ha cominciato a montare, e percepito da vicino, senza marciapiede, è assordante.
Ci vogliono motivi gravi, perché un pedone venga in via Giovanni Luder, penso, fissando lo sguardo su un mazzo di fiori, più in là, oltre il sottopasso, legato col fil di ferro a un pilone. E’ rigido e resiste, lì in mezzo al nulla: pare mummificato dallo smog o dalle piogge acide. Sono fiori di plastica, invece, i cui colori sgargianti una patina di polvere e fumi di scarico ha reso lividi di porpora, antracite, rame, violetto e petrolio, colori in fin dei conti più adatti, penso, a celebrare un ignoto lutto.
settembre 15, 2008 a 1:47 am
vogliamo i rishaw a firenze!
settembre 15, 2008 a 1:53 am
ERA L’ORA
settembre 15, 2008 a 7:53 am
L’attesa è stata premiata.
settembre 15, 2008 a 3:46 PM
Un gran ritorno per “Le strade di Firenze”.
settembre 15, 2008 a 4:53 PM
Le fa onore affrontare col medesimo lirismo tanto la peggior periferia quanto il centro
settembre 15, 2008 a 11:32 PM
Applausi.
settembre 16, 2008 a 8:25 PM
Finalmente sei tornato…..ti prego non ci abbandonare;nessun’altro riesce a descrivere le emozioni e le sensazioni che questa citta’emana da tutte le parti,come fai te..
settembre 19, 2008 a 2:27 PM
notevole
settembre 22, 2008 a 1:02 am
Bello. Io da quelle parti ci andavo con mio nonno quando ero piccola. Lui lo chiamava “il campo di aviazione” e dalla rete di recinzione guardavamo gli arei militari…